Perché aspettiamo con tanta ansia il Giro d’Italia? Per vivere emozioni indescrivibili

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Poche cose al mondo sanno regalare le emozioni che dà il Giro d’Italia.

Ricordo con piacere le prime volte che guardavo la corsa rosa. L’inizio del Giro significava che la scuola stava per finire. Le ultime tappe coincidevano con l’inizio delle vacanze estive. La spensieratezza legata alle imprese di Marco Pantani sul Mortirolo, prima ancora ai duelli tra Claudio Chiappucci e Miguel Indurain, a Franco Chioccioli sempre in rosa o alla classe innata di Gianni Bugno. E poi Francesco Casagrande, Maurizio Fondriest, Gibo Simoni. E ancora Pavel Tonkov, Pëtr Ugrjumov, Paolo Savoldelli, Stefano Garzelli, Ivan Basso.

Ricordo che collezionavo i tappi delle bottiglie di birra che beveva mio padre con gli amici e fingevo che fossero i corridori per riproporre le tappe del giro d’Italia. Spesso vinceva la Heineken, perché il suo tappo era verde come la divisa della Gatorade di Bugno. Poi la Nastro Azzurro, con tappo bianco come la Carrera di Chiappucci e Pantani, cominciò a trionfare per distacco. Qualche anno dopo la birra ho iniziato a berla io guardando la corsa vera.

Il Giro d’Italia era l’occasione per ammirare le bellezze del nostro Paese. Guardavo la TV con mio padre, tutt’altro che appassionato di sport. Io seguivo gli scatti di Ivan Gotti o gli sprint di Mario Cipollini, mentre lui guardava i paesaggi. Il Giro d’Italia si sa, unisce tutti.

Anche se negli anni ha perso la sua importanza sociale che aveva ai tempi di Gino Bartali e Fausto Coppi, quando il tifo ciclistico si mescolava all’orientamento politico, il Giro d’Italia resta sempre uno degli appuntamenti nazional-popolari più attesi e affascinanti, alla pari del Festival di Sanremo e del campionato di Serie A. La storia d’Italia è strettamente legata alle vicende della maglia rosa.

Il brivido che si prova vedendo un ragazzo sulle Dolomiti che, dopo 160 chilometri di fatica, riesce ancora ad alzarsi sui pedali, accelerare e volare verso la cima, è qualcosa che a parole non si può descrivere. Un po’ come la rabbia di Madonna di Campiglio. Un po’ come la gioia di quella fuga a tre all’Aprice nel 2010, con Nibali, Basso e Michele Scarponi protagonisti di una sceneggiatura romantica. Un po’ come l’abbraccio tra Nibali e Scarponi, capitano vincente e il miglior gregario del mondo, alla fine del Giro del 2016. Un po’ come il vuoto lasciato dallo stesso Scarponi, finalmente capitano, maledettamente assente sulle strade che ha percorso, pedalando, per una vita intera.

Buon Giro d’Italia a tutti!

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