Un secolo fa nasceva Valentino Mazzola, capitano del Grande Torino e simbolo di un’epoca

Valentino_Mazzola_Italia-Ungheria
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Il 26 febbraio del 1919, esattamente un secolo fa, a Cassano d’Adda, nacque uno dei simboli dell’Italia del secondo dopoguerra. Calciatore dalla classe innata, uno di quelli che hanno contribuito a rendere il 10 qualcosa di più che un semplice numero di maglia. Uomo squadra della squadra più forte di tutti i tempi, il Grande Torino. Quell’uomo è Valentino Mazzola.

Cresciuto in una famiglia umile, già da piccolo, Valentino ha dovuto rimboccarsi le maniche e andare a lavorare, prima come aiuto fornaio, poi in un linificio di Cassano d’Adda. Tutte le mattine andava a lavoro a piedi, e sempre a piedi ritornava la sera. Percorreva per intero il tragitto calciando una lattina. Per questo a Cassano era soprannominato Tulen.

Eroe, a 10 anni, nel 1929, salvò la vita a un ragazzino di quattro anni più piccolo che era caduto nel fiume Adda e rischiava di annegare. Valentino si tuffò e lo tirò fuori dall’acqua. Quel ragazzino era Andrea Bonomi, che qualche anno più tardi sarebbe diventato il capitano del Milan, vincitore dello scudetto del 1951.

Mazzola ha iniziato a tirare i primi calci al pallone nella squadra del suo quartiere, il Tresoldi. Lì venne notato da un collaudatore dell’Alfa Romeo, appassionato di calcio, che gli fece avere un posto da meccanico e un ruolo nella squadra aziendale, che militava in Serie C. Nel 1938 ebbe la prima proposta da parte del Milano. Avrebbe avuto la possibilità di giocare in Serie A. Valentino però rifiutò e scelse l’Alfa Romeo, perché gli avrebbe permesso di avere un lavoro.

È stato molto meglio aver scelto l’Alfa Romeo – si legge nel suo diario, pubblicato nel 1950 – se fossi andato al Milano avrei percepito lo stipendio, allora assai notevole, di 100 lire mensili e non avrei lavorato. Meglio assai lavorare: con l’ozio c’era il pericolo di rovinare la mia passione, veramente sana, per il calcio e per la mia carriera”.

Nel 1939 lasciò l’Alfa Romeo e si trasferì a Venezia per prestare servizio militare. Qui, mentre giocava con la squadra della Marina Militare, fu notato da osservatori del Venezia. Da qui la carriera di Valentino Mazzola partì e lo condusse verso le vette più alte del calcio mondiale. Un campione e un uomo stimato e apprezzato da tutti, compagni, tifosi e avversari.
Di lui Giampiero Boniperti, storico presidente della Juventus, ha sempre avuto parole di elogio. “Ancora adesso, se debbo pensare al calciatore più utile ad una squadra, a quello da ingaggiare assolutamente, non penso a Pelè, a Di Stefano, a Cruyff, a Platini, a Maradona: o meglio, penso anche a loro, ma dopo avere pensato a Mazzola“.

In carriera ha vinto 5 scudetti, 2 coppe italia e un titolo di capocannoniere della Serie A. Ha vestito la maglia della nazionale per 12 volte, indossandone anche la fascia di capitano. La Guerra prima e la prematura morte poi non gli hanno permesso di giocare la Coppa del Mondo.

La sua figura, da capitano del Torino, squadra in cui si è trasferito nel 1942, era simbolo di riscatto nazionale. Gli italiani, a metà degli anni ’40, tartassati dalla Seconda Guerra Mondiale, chiamati codardi e traditori, si rivedevano nelle sue gesta, come in quelle di Fausto Coppi e Gino Bartali, per scrollarsi di dosso il fardello della sconfitta e dimenticarsi per un attimo della miseria che il Grande Conflitto aveva portato.
In Valentino Mazzola vedevano tutti il meglio del nostro calcio sopravvissuto alla guerra” racconta Gianni Brera.

Valentino Mazzola con suo figlio Sandro

Un campione amato, un uomo rispettato, padre di due figli, Sandro e Ferruccio (chiamato così in onore del presidente del Torino Ferruccio Novo), anche loro calciatori. Una vita spezzata a 30 anni da un infame destino, conclusa lì, a Superga, da capitano, tra i suoi compagni di squadra.
Resta comunque, a 100 anni dalla sua nascita, il ricordo di una persona che ha segnato pagine importanti della storia del nostro Paese, non solo legate allo sport.

“Ero centravanti, segnavo molto. Segnai anche quella volta: o meglio, fui certo di aver segnato, perché battei in rete a colpo sicuro. Alzai le braccia al cielo, le abbassai, me le misi nei capelli. Sulla linea di porta era sorto, materializzandosi dal nulla, Valentino Mazzola, aveva fermato il mio tiro, aveva stoppato il pallone. Tornai verso il centro del campo con la testa china, ero deluso, quasi disperato. Avevo fatto pochi passi, ricordo, avevo appena superato il limite dell’area di rigore granata, quando alzai gli occhi, come avvertito da un boato progressivo che invadeva il campo. Mazzola si era già materializzato là, vicino alla mia porta, e segnava!”
(Giampiero Boniperi, 1989)

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