La frase choc di Gianni Bugno riapre il dibattito sulla sicurezza per i ciclisti

Gianni Bugno Michele Scarponi
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Dichiarazioni choc quelle di Gianni Bugno a margine di CosmoBike a Verona, evento di riferimento per tutti gli appassionati di ciclismo. “Non vado più in bici. Lo farei, ma ho paura – ha detto il due volte campione del mondo – le biciclette sono percepite come un fastidio”. Parole forti, ma utili per smuovere un po’ l’opinione pubblica su un tema delicatissimo.
Non ha torto Bugno. Basta leggere i numeri comunicati dall’Accpi, il sindacato che tutela i ciclisti. Solo nel 2017, 254 ciclisti hanno perso la vita sulle strade italiane.

I ciclisti hanno bisogno delle strade per allenarsi e per praticare il loro sport. Il ciclismo non è come il tennis, il calcio, l’atletica. Non ci sono luoghi chiusi, dedicati esclusivamente a chi va in bici. La pista ciclabile in città non è allenante, serva a chi si muove nei centri urbani. Il velodromo non può essere preso in considerazione per gli amanti del ciclismo su strada. Serve allora buon senso e rispetto del prossimo e delle regole.

Si è discusso tantissime volte sulla velocità, la scarsa attenzione, sul menefreghismo di chi sfreccia in auto in luoghi spesso frequentati da gente che va in bici. Sono problemi ormai noti a tutti.

C’è da dire, però, che pur volendo rispettare il regolamento stradale, spesso gli automobilisti non possono mantenere la distanza di un metro e mezzo dal ciclista, prevista dalla legge. Il più delle volte le strade in cui si va a pedalare, specialmente in costiera o in montagna, hanno corsie strette per consentire all’automobilista di procedere a 150 centimetri dal limite della carreggiata.

Il tema della sicurezza era tornato in auge con la morte di Michele Scarponi, investito da un furgone che non aveva rispettato l’obbligo di precedenza, mentre si allenava. Ma cos’è cambiato dopo la tragedia che ha colpito uno dei corridori italiani più popolari? “Niente” dice Marco Scarponi, fratello di Michele, impegnato in una lunga battaglia per la sicurezza dei ciclisti, intervenuto anche lui in occasione di CosmoBike. “Dobbiamo creare una cultura che metta al centro il più debole – sostiene Marco Scarponi -. Non sono un esperto di infrastrutture, ma sono un esperto di dolore e ho scoperto che tanti sono nella mia situazione: i familiari delle vittime della strada e degli oltre 17mila feriti gravi. Il problema dei ciclisti è l’automobile. Alta velocità, cellulare alla guida, parcheggi in doppia fila. Il ciclista non ha più spazio per muoversi, non gode di rispetto”.

Diciamo la verità, spesso sono i ciclisti stessi a non rispettare le norme stradali. In tanti hanno l’abitudine di pedalare in gruppo, piuttosto che in fila indiana, pensando magari di stare in una classica di primavera, innervosendo l’automobilista di turno. C’è inoltre chi, quando è in bici, è abituato a non rispettare la segnaletica. Questo ha creato una sorta di conflitto eterno tra ciclisti e automobilisti, come se fossero due schieramenti antagonisti. In questa guerra continua il ciclista è la parte debole.

Le strade sono di tutti. Per quanto siano inefficienti e poco confortevoli, potrebbero diventare molto più sicure. Basterebbe poco, solo un po’ più di attenzione e di rispetto. Può sembrare una conclusione banale e scontata, ma è l’unica che potrebbe cambiare la triste situazione attuale.

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