Adriano, l’imperatore potente e fragile

Adriano
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La storia di Adriano Leite Ribeiro è quella di un ragazzo nato povero, le cui grandi doti l’hanno innalzato tra i grandissimi del calcio, ma che oggi, soprattutto sui social network è diventato un meme, una macchietta, qualcuno da prendere in giro per la sua forma fisica e per i suoi eccessi. Facile farlo. Perciò oggi la raccontiamo a chi non la conosce o, forse, l’ha dimenticata.

All’età di 20 anni, era già uno degli attaccanti più dominanti, fisicamente e tecnicamente, della Serie A degli anni 2000, al punto da essere un baniamino dei tifosi che vedevano in lui l’erede di Ronaldo e guadagnarsi il soprannome di Imperatore. Oggi, soprattutto sui social network
Nel 2001 si trasferisce dal Flamengo all’Inter, a 19 anni. Dopo i due prestiti, a Parma e Fiorentina, torna in nerazzurro e continua a segnare gol, impressionanti, a raffica.

Parole di Zlatan Ibrahimovic, non uno qualsiasi: “Ho giocato con grandi campioni, ho giocato con giocatori che erano già ‘wow’, ho giocato con giocatori il cui talento li avrebbe portati ad essere ‘wow’. Ma quello che veramente avrebbe potuto durare più di tutti, e non l’ha fatto, era Adriano quando ero all’Inter. La prima cosa che dissi al presidente quando arrivai all’Inter – ha svelato lo svedese – fu di tenerlo perché volevo giocare con lui. Era un animale, poteva tirare da ogni posizione, nessuno poteva fermarlo, nessuno poteva togliergli il pallone. Era un vero animale. Ma è durato troppo poco. Non so perché, alla fine il 50% di quello che puoi fare risiede nella mente. Se non hai la testa giusta è difficile. Nel caso di Adriano mi sono divertito a giocare con lui, l’ho visto, ero felice di giocare con lui e contro di lui. E’ un vero peccato che sia durato così poco”.

La vita di Adriano è cambiata nel 2006. Javier Zanetti, capitano dell’Inter, racconta il suo declino. “Adriano aveva un papà che vigilava su di lui e lo teneva sulla retta via. Improvvisamente all’inizio dell’anno avvenne qualcosa di inimmaginabile. Ricevette una chiamata dal Brasile in cui gli dicevano che il papà era morto. Qualcosa che poteva cambiargli la vita per sempre. Lo vidi piangere, scagliò via il telefono e cominciò a gridare che non era possibile. Venendo dalle favelas sapeva benissimo i problemi e i rischi connaturati al possedere molti soldi provenendo da uno stato di miseria assoluta. Ogni giorno, dopo gli allenamenti, volevo sapere cosa andasse a fare o se uscisse di notte, mi preoccupavo che potesse avere problemi. Ma dopo quel giorno nulla fu più come prima, anche se dopo ogni gol esultava guardando il cielo. Io e Moratti abbiamo deciso di accoglierlo come un fratello e proteggerlo. Un sacco di volte passavamo con Cordoba le sere con lui dicendogli che era un mix tra Ronaldo e Ibrahimovic e che poteva essere meglio di entrambi. Ma non siamo riusciti a salvarlo dalla depressione e questa cosa mi rattrista ancora oggi”.
La depressione, quella brutta bestia invisibile, è sfociata poi in scarsa voglia di allenarsi, ricerca distrazioni altrove, abuso di alcol, frequentazione di cattive amicizie, fino a distruggere completamente la sua vita professionale, e non solo, che ufficialmente si è conclusa nel 2016, ma praticamente finì con quella telefonata del 2006.

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